Ciao,
chi mi conosce bene sa che dalla fondazione delle Cantine Murgia il mio motto è:
che riflette un mio costante pensiero positivo.
Chiaramente di fronte alla domanda specifica su come deve essere bicchiere, quasi nessuno immagino, pensa al mezzo vuoto.
Se non altro per non essere indicato come pessimista, disfattista, lamentoso ecc…
Se parliamo di resilienza, il bicchiere mezzo vuoto diventa molto efficace e finalmente ci viene utile.
Partiamo dal concetto di resilienza, definita in psicologia come la capacità di affrontare le avversità della vita, di superarle e di uscire rinforzato e addirittura trasformato positivamente.
Va da se che questo si sposa in maniera esemplare con l’atteggiamento di chi sa di vedere il bicchiere sempre mezzo pieno.
Ultimamente parlare di resilienza è quasi come parlare di un fenomeno di moda; il rischio che si corre è quello di prenderla sottogamba, di non valutarla in maniera corretta e di farti annoiare ancora prima di averla davvero praticata.
Nel mondo moderno siamo costantemente bombardati da avversità e problemi di vario genere, e la capacità di rispondere a queste sollecitazioni e trasformarci positivamente, ci aiuta ad andare avanti, ed è molto importante per migliorare ma a volte semplicemente aiuta a vivere in questa realtà complessa.
Il concetto di resilienza usato nel quotidiano corre il rischio di essere confuso con quello più generico di ottimismo.
Può essere scambiato per una predisposizione naturale o come un talento al pensare sempre positivo.
Invece la resilienza è fatta anche di pensieri e comportamenti e in quanto tali questi, a differenza della predisposizione naturale, possono essere allenati.
Come possono essere allenati i nostri comportamenti e pensieri?
Una delle possibilità suggerita da Pietro Trabucchi autore del libro “Resisto Dunque Sono”, è “prendere consapevolezza del fatto che, le nostre reazioni di fronte a un evento non dipendono direttamente dall’evento, ma dalla nostra valutazione dello stesso” e non solo possiamo vedere le cose diversamente rispetto agli altri, ma spesso vediamo cose diverse e persino da noi stessi.
Un esempio spesso riportato è quel semaforo: se sono in ritardo nel traffico e scatta il semaforo rosso “proprio quando arrivo io“ la mia reazione non è sempre la stessa, ma dipende dal momento, dallo stato d’animo, da come è andata la giornata, dalla vicinanza o meno dal w.e.
In altre parole la resilienza si impara ragionando sulla differenza tra un modello in cui lo stress è oggettivo, cioè In cui un evento allo stesso impatto su tutti, e un modello soggettivo per il quale un evento viene filtrato dall’individuo.
Sempre Pietro Trabucchi scrive nel suo libro: “Le persone non sono stressate dagli eventi in se, ma dal modo in cui li interpretano”.
Ecco il metaforico bicchiere che ricompare nel passaggio dal pensieri e comportamenti: il mio comportamento rispetto al semaforo rosso “solo quando arrivo io“ può cambiare, se decido di cambiare il modo in cui voglio vedere l’evento “semaforo rosso“.
Per cambiare atteggiamento, per cambiare il nostro comportamento conviene poi passare al riconoscimento delle nostre emozioni che ci possono chiaramente condizionare.
La soluzione non è ignorarle, ma nell’ottica della resilienza, è imparare a riconoscerle per distinguerle dal vero problema: se mi irrita il semaforo rosso, probabilmente è perché sono in ritardo.
È al ritardo forse qualche soluzione (comportamento) posso trovarlo, mentre inveire contro la sorte, contro la nuvola di Fantozzi o litigare con la turista vicino, magari mi consola nel breve, ma certamente non ti porta a limitare o a risolvere il ritardo.
Insomma conviene occuparsi di eventi “reali ” oltre che di emozioni, per considerare i propri comportamenti e modificarli in modo più efficace rispetto al problema che ci crea l’evento, invece di limitarsi a quello che viviamo sull’onda di pensieri generati dall’emozione.
Non è più utile cercare una cura la causa del dolore invece che limitarsi all’antidolorifico?
Sempre ammesso che prendersela con la nuvola di Fantozzi diminuisca il dolore per il ritardo, si intende.
Buona giornata.
Daniele
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