Pisa Febbraio 1985 SMIPAR-SCUOLA MILITARE DI PARACADUTISMO
Ore 06:50 GMT.
Il sottufficiale di giornata, Tricarico da Catania, oggi pare si sia svegliato con le “palle girate” più del solito.
Piove abbondantemente da oltre due giorni e il pensiero di iniziare l’addestramento con i consueti 5 km di corsa da completare in 25 minuti, di sicuro non gli allevia il malumore.
Soprattutto dopo la giornata di ieri passata interamente a strisciare nel fango in mimetica, passando sotto il filo spinato del campo di addestramento al combattimento, costantemente martellati da una pioggia battente e fredda.
Tutta la camerata è schierata sull’attenti di fronte alla propria branda per l’ispezione mattutina.
Oltre a divisa in ordine e barba perfettamente rasata, la precisione del letto rifatto in una sorta di cubo, determinerà l’esito del resto della giornata per tutti noi allievi Paracadutisti del 2° plotone, che potrebbe passare da: “Notevolmente impegnativa” come di consueto a una vera propria prova speciale tipo “Full Metal Jacket”, film che uscirà da lì a due anni, per nostra fortuna.
Dentro di me penso: “Speriamo che non tiri fuori la maledetta monetina e si limiti al solo giudizio visivo”.
E così fa: con passo nervoso percorre tutta la camerata e mentre sta per uscirne, si ferma proprio davanti alla mia branda, l’ultima prima del corridoio, e dopo avermi riservato uno sguardo tra l’assassino e l’incazzato, tira fuori la maledetta monetina.
Devi sapere che il percorso d’addestramento di un Allievo Paracadutista, dura circa 45/60 giorni, in cui sei allenato in molteplici attività mentali e fisiche, in palestra e sul campo.
Un iter impegnativo dove, oltre ad imparare le basi della dura vita militare, ti addestrano su tutto lo scibile (compresa la gestione delle emergenze, tipo se il paracadute non si apre…), per prepararti al fatidico “Primo lancio” che suggellerà il tuo ingresso nel glorioso corpo speciale dei Paracadutisti, guadagnandoti il bellissimo e distintivo Basco amaranto e il distintivo del Brevetto da Paracadutista Militare, da appuntare con orgoglio sulla mimetica e divisa.
Ebbene io quando arrivai a Pisa, a differenza degli altri circa 400 allievi, il distintivo del Brevetto da Paracadutista Civile me l’ero già guadagnato l’anno prima, completando l’iter addestrativo presso l’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia con tanto di lanci di brevetto a Novi Ligure.
Avrei voluto evitare di metterla in bella mostra, se non altro per evitarmi tonnellate di scocciature, ma essendo quello completato a Milano un addestramento paramilitare per civili, tenuto dagli istruttori della SMIPAR, appena arrivato alla scuola, me la fecero appuntare alla mia divisa da allievo.
Immaginate come fui preso di mira da tutti i sottufficiali e ufficiali (anche il prete che celebrava la messa della domenica in piazza d’armi si divertì un sacco e mi volle al suo fianco come chierichetto).
“Vediamo il cubo del fighetto di Milano che arriva bello bello, con la sua aquiletta lucente, se oggi vi fa fare 30 flessioni in battuta e 3 giri di pista in più” sbraita Tricarico, lanciando la monetina contro il mio “cubo”.
Centesimi di secondo in cui io e i miei 20 commilitoni trattenemmo il fiato e sono sicuro che qualcuno chiuse anche gli occhi.
“Minchia” esclamò il sergente…
A quei tempi non avevo ancora capito il grande messaggio che c’era dietro questa piccola attività del rifarsi il letto e la inquadravo solo nell’ossessiva richiesta di disciplina, atta a temprare le persone e prepararle a diventare un militare d’élite.
Il lanciarsi da un aereo, o da un elicottero è in realtà, per quanto non cosa da poco, specialmente se da sotto ti sparano, è solo la prima di tante attività molto complesse da svolgere durante il compito di protezione della Patria e di tutti gli Italiani.
Su 400 allievi paracadutisti alla fine all’agognato brevetto ne arrivavano circa la metà dopo aver superato tutte le prove previste dal programma, e di questi, quelli destinati ai reparti operativi, al massimo 50; Gli altri servivano a far andare avanti la macchina bellica in tutte le sue sfaccettature, dalla logistica ai trasporti alla mensa ecc….
Quindi la selezione molto dura si rendeva necessaria per avere 50 impavidi da mandare nelle zone calde del pianeta al bisogno o a difendere i nostri confini nazionali.
Quindi il cubo fatto bene oltre che “ordine e disciplina” nascondeva una grande carica di auto motivazione, che nella pur semplice attività di rifare il letto, si ripercuoteva a cascata sulle altre attività.
L’idea di aver iniziato e terminato un’attività ci da una carica e soprattutto non lascia aperte finestre d’incompiuto.
Tutte le cose che iniziamo e non completiamo lasciano aperta una specie di valvola da dove escono le nostre energie mentali e che ti distraggono con il continuo pensarci.
Immagina quando alla fine della tua giornata lavorativa, scrivi una mail importante e poi ti dimentichi di inviarla.
Probabilmente prima di prendere sonno ti tornerà il pensiero e questo tarlo ti perseguiterà fino alla mattina successiva, perché la nostra mente presta sempre più attenzione alle cose non completate.
Quando invece le termini, sono cosa fatta, e non ci pensi più.
Quindi quando tu rifai il letto, punto.
Godi della soddisfazione di avere terminato una cosa, per pur piccola che ti porta con più energia a focalizzarti sulla prossima attività.
Un grande aiuto per comprendere il concetto me lo ha dato un libro.
Nel 2018 è uscito in Italia “Fatti il letto” scritto da William McRaven, ammiraglio a quattro stelle della Marina americana.
Best-seller mondiale, tradotto in 24 lingue, è un insieme di lezioni preziose imparate dall’uomo durante l’addestramento militare, “piccole cose che – come scrive l’ammiraglio – cambieranno la tua vita, e forse il mondo”. Il testo è ispirato al discorso che McRaven ha tenuto di fronte ai laureati dell’università del Texas nel 2013 e che, pubblicato in rete, ha raccolto oltre cento milioni di visualizzazioni.
Ecco un piccolo assaggio del libro:
Iniziate la giornata portando a termine un compito: rifatevi il letto.
Nel suo libro, l’ammiraglio racconta quanto valore fosse dato al rifare correttamente il letto durante gli anni dell’addestramento: tutto doveva essere allineato in modo perfetto, il cuscino, le lenzuola, la coperta. Il superiore di turno era solito far rimbalzare una moneta per ultimare il controllo.
“Rifare correttamente il letto non era un modo per ottenere un elogio. Era ciò che ci si aspettava da me. Era il primo compito della giornata ed era importante svolgerlo a dovere. Dava prova della mia disciplina, mostrava la mia cura del dettaglio e alla sera mi ricordava che avevo compiuto qualcosa di buono, qualcosa di cui essere orgoglioso, indipendentemente dalla grandezza del compito”.
Era anche un modo per portare ordine e organizzazione all’interno della giornata e quindi della vita. McRaven ebbe modo di accorgersene più tardi, lavorando accanto a generali e soldati semplici, a uomini e donne eccezionali:
“Erano tutti consapevoli che la vita è difficile e che talvolta si può fare poco per cambiare il modo in cui andranno le cose. I soldati muoiono in battaglia, le famiglie li piangono, le ore sono lunghe e piene di angoscia.
Cerchi qualcosa che possa offrirti consolazione, che possa motivarti a iniziare la giornata, che possa costituire un sentimento di orgoglio in un mondo spesso orribile. Ma questo non vale solo per la battaglia. È la vita quotidiana che ha bisogno di questo stesso senso dell’organizzazione. Nulla può sostituire la forza e il conforto della propria fede, ma talvolta la semplice azione di rifarsi il letto può offrire lo slancio necessario a iniziare la giornata e dare la soddisfazione di finirla nel modo giusto”.
Un libro interessante, che ti consiglio, da cui trarre alcuni semplici suggerimenti che a me hanno finalmente spiegato il perché del “rifarsi il letto”.
“Per avere successo nella vita, iniziate la giornata portando a termine un compito: rifatevi il letto”.
“Se la mattina vi fate il letto, avrete portato a termine il primo compito della giornata”. Questo vi darà una sensazione di orgoglio e v’incoraggerà a concluderne un altro, e poi un altro ancora. Farsi il letto, inoltre, rimarca la consapevolezza che nella vita le piccole cose contano. Se non sapete fare bene le piccole cose, non ne farete mai di grandi”.
William McRaven
E con Tricarico come finì?
Minchia….la sua espressione tipicamente sicula, scaturì dal fatto che, vista la tensione massima delle coperte, abilmente rassettate, la monetina rimbalzò e schizzò per aria andando a finire in mezzo al corridoio.
Per questa volta “Milanese” ti è andata bene” sentenziò andandosene.
In quella mattinata piovosa, oltre alla soddisfazione di aver portato a termine il primo compito della giornata, ebbi la gioia di aver evitato a tutti i miei commilitoni, ulteriori e inutili angherie, grazie alla precisione e attenzione del “Fighetto di Milano”, che fra l’altro a breve, sarebbe diventato, nei reparti operativi dei famosi 50, il loro superiore in grado, se non altro per essere stato sempre il migliore a rifare il letto.
Buona settimana
Daniele
Per i tuoi commenti a scrivimi a info@danielemurgia.com
Daniele Murgia
E se l’articolo ti è piaciuto condividilo, te ne sarò grato.