Ciao
Ma tu, quanto sai sbandare?
Oggi voglio parlarti del Dovere all‘errore.
Questa definizione apparentemente bizzarra l’ho sentita per la prima volta durante un corso di formazione, proprio dedicato riconoscimento e la gestione degli errori, e sopratutto al valore didattico degli stessi.
Mi ha molto colpito perché in realtà è una delle proprietà nascoste e più importanti, che possiamo attribuire agli errori, cioè l’insegnamento derivante da essi.
È risaputo che l’essere umano acquisisce insegnamenti dai propri errori.
Fin da piccoli capiamo per esempio che cadere dall’altalena, è doloroso, quindi con questo “imprinting” primordiale, stiamo molto attenti quando ci troviamo in situazioni di pericolo, per non ripetere l’errore e riprovare il dolore.
Partendo da questo semplice concetto, è auspicabile che le organizzazioni e le aziende, specialmente nei momenti formativi, debbano quasi programmare degli errori, debbano prevedere delle “piccole cadute all’altalena”, per garantire alcuni apprendimenti e lo sviluppo professionale dei collaboratori.
Cerco di spiegarmi con un paio di esempi:
Una volta durante un corso di guida sicura, organizzato da una delle aziende automobilistiche per cui ho lavorato, mi fecero eseguire un percorso che prevedeva un rettilineo da affrontare a 80 km/h. Un tratto apparentemente semplice, dritto e lineare che sembrava senza particolari difficoltà.
Ad un certo punto senza accorgermene, concentrato sulle istruzioni del pilota, passai su una pedana di resina, un po’ mimetizzata dall’acqua spruzzata in pista, che diede un colpo di coda la macchina facendomi perdere il controllo e mandandomi in testa coda….
…all’inizio PANICO !!!
Ebbi una reazione immediata e la reazione alimentò il testacoda!
Quindi un’esperienza forte, un errore vero, vissuto in prima persona ma ovviamente nella massima sicurezza.
Quell’errore vissuto pienamente, direttamente fu il trampolino di lancio dei successivi apprendimenti.
Infatti per l’oretta successiva mi fecero lavorare sempre sulla piattaforma in resina, per migliorare la mia reazione, non sapendo però se la piattaforma a ogni passaggio, avrebbe dato un colpo a destra o a sinistra, e quindi obbligandomi a mettere in pratica le mie abilità appena acquisite.
La domanda che mi faccio è:
“Ma sarebbe stata la stessa cosa se me l’avessero semplicemente spiegato senza farmelo provare?”
Non credo proprio!
Ora ti faccio una domanda:
Secondo te, dal tuo punto di vista il miglior pilota è colui che non fa mai sbandare la vettura, o è colui che sa far sbandare volontariamente la vettura?
Evitare di sbandare alimenta le nostre incapacità di guida.
I migliori piloti non solo sanno sbandare, ma sanno far sbandare volontariamente la vettura proprio per far seguire la giusta traiettoria alla macchina, nonostante le sbandata, e l’apparente perdita di controllo.
Ed ecco illustrato il potere educativo dell’errore.
Per imparare a guidare bene, diciamo sopra la media, dobbiamo conoscere le sbandate, per poter imparare a prevenirle e gestirle e usarle per correggere eventualmente la nostra traiettoria e…
… per imparare a gestire noi stessi durante le sbandate.
Questo chiaramente non vuol dire che quando sono in auto per strada, in giro con la famigli, io mi metto a fare il cretino che sbanda, ci mancherebbe, ma in pista la sbandata è doverosa, e solo chi sa sbandare, impara al meglio, e nella guida di tutti i giorno, conoscerne i meccanismi, può evitarti a volte grossi guai.
Il secondo esempio, riguarda, sempre nelle stesse modalità, quando il mio istruttore di volo acrobatico Sergio Dallan, mi insegnò come si esce dalla “Vite” manovra definita mortale e che ha segnato la fine di molti piloti.
La manovra in se, demonizzata da tutti i piloti, è parte integrante del programma formativo del pilota acrobatico, da eseguire in competizione.
La “Vite”, se eseguita alla giusta distanza dal suolo, non è particolarmente pericolosa, ma prevede una sequenza di comandi, che devono essere memorizzati ed eseguiti molto velocemente, per fermare la rotazione del velivolo e fermarne la caduta, riprendendo cosi la condizione di volo rettilineo uniforme.
Ma veniamo ai fatti.
Andammo in volo per il consueto allenamento formativo, senza che io avessi il minimo presentimento di quello che mi sarebbe aspettato.
Francamente io pensavo ai soliti Looping e Tonneau, conditi da un po’ di manovre complesse preparatorie alle gare, ma arrivati in zona acrobatica, fra l’altro con poca visibilità, il “Maestro”, prese i comandi e rallentando il velivolo, lo mise volontariamente in vite.
Il velivolo, con uno scossone si mise con il muso verso il terrene e comincio ad avvitarsi su se stesso vorticosamente, stringendo sempre più le spire della vite.
A quel punto tolse le mani dai comandi e candidamente mi disse:
Tiralo fuori tu, adesso!
Prima qualche millisecondo di panico, poi collegamento neurale agli insegnamenti in aula e azione…
…Il resto lo puoi immaginare, se sono qui a scrivervi.
La manovra la ripetemmo una decina di volta, in alcuni casi “sbagliando volutamente la rimessa, per affinare le reazioni e assumere il controllo perfetto in uscita e raggiungere un’alto standard di sicurezza,
Tornati a terra, dissi al mitico Sergio Dallan:
“Maestro (soprannome con cui noi pilotini, lo chiamavamo), me lo poteva dire che avremmo studiato la “Vite”, mi sarei preparato.”
Lui rispose con il suo solito piglio da veterano: “Troppo facile! Invece cosi facendo, la prima volta quando ti ho lasciato i comandi, ti sei talmente spaventato, ma hai reagito per la sopravvivenza e ne sei uscito brillantemente. Vedrai che questa manovra non te la dimesticherai per tutta la vita.”
Altra dimostrazione che a volte spiegare le cose non basta, bisogna farle, sbagliando, in sicurezza, per cogliere appieno il valore educativo.
Se vogliamo imparare a controllare qualcosa dobbiamo conoscere la perdita di controllo e dobbiamo conoscere anche tutti i fattori che potrebbero generare e alimentare questa perdita di controllo.
Ecco che per imparare al meglio qualcosa dobbiamo AGIRE e a volte SBAGLIARE…
… perché è qui che troviamo il potere formativo dell’errore.
Conoscere gli errori e commetterli più possibile in prima persona, in massima sicurezza.
In una frase:
Dobbiamo esercitare il dovere l’errore, dobbiamo sbagliare per conoscere l’errore, e conoscere le nostre reazioni a quello specifico errore, per conoscere le eventuali azioni preventive di intervento.
Il mio obiettivo, d’ora in poi sarà inserire ove possibile nei piani formativi il “Dovere all’errore”, per far volontariamente commettere errori, far fare delle piccole “cadute dall’altalena”, in modo da sfruttarne il loro potere didattico, il loro impulso evolutivo.
Per concludere, come diceva lo scrittore filosofo Elbert Hubbard:
“L’unico sbaglio che tu possa fare, è non fare qualcosa per paura di sbagliare”
Buona settimana.
Daniele
P.S. Un libro che può insegnare che, “non sempre l’errore è definitivo”, ma che visto sotto una giusta luce, può essere formativo, libro che fra l’altro trovi recensito sul mio sito: www.danielemurgia.com
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Daniele Murgia