Negli ultimi anni ho conosciuto parecchi formatori e coach, e da ognuno di loro ho cercato di portarmi a casa qualcosa di importante, solitamente attitudini o modalità operative legate al lavoro.
A volte sono riuscito, mentre altre volte (per esempio l’ultimo corso fatto con David Allen) pur sforzandomi, non sono riuscito ad appassionarmi e a trovare la pepita da cogliere. A volte penso sia questione di tempo, il messaggio non ti arriva subito, ma compare dopo qualche giorno. Sperem…
Questo è il grande potere della nostra mente che registra tutto…
…un potente computer composto da circa 28 miliardi di neuroni , collegati tra loro dalle sinapsi che creano un reticolo di oltre 9.600 km e pensa che ogni neurone può elaborare fino a un milione di informazioni… altro che Mac o Intel con i suoi processori.
Una grande pepita, di quelle preziosissime me la regalò Emanuele Maria Sacchi, durante un suo intervento.
Una di quelle gemme preziose che si trovano pochissime volte in natura e me la donò con la sua solita carica di simpatia.
Ricordo che fu illuminante, arrivò come un pugno allo stomaco con una forza che mi fece traballare per parecchi giorni e riflettere a lungo.
Palava di “Attenzione” verso gli altri, di questo bisogno che hanno tutti gli esseri umani, tra cui il partner, i figli e i collaboratori.
Un bisogno di riscontri puntuali e specifici, bisogno di conferme della loro esistenza e della loro validità.
Insomma, un: “LO SO CHE CI SEI”
Questa umana e disperata fame di attenzione che David Kupfer, uno dei fondatori dell’Analisi Transazionale chiamò Strokes,(si potrebbe tradurre in gratificazioni) è già evidente nei neonati sotto forma di contatto fisico.
A tal proposito ti riporto un brano tratto dal libro di Emanuele Maria Sacchi “ Il Segreto del Carisma”
“Il reparto pediatrico di un ospedale è un meraviglioso posto dove sboccia la vita: eppure, per un neonato così come per la madre, il momento del parto è tutt’altro che piacevole.
Il bimbo nel grembo materno, aveva una serie di vantaggi non indifferenti: un bel monolocale con vitto e alloggio garantito, nessun mutuo da pagare, una bella liana che parte dall’ombelico dove ogni tanto ci si può aggrappare, un bel materasso ad acqua e una conseguente dolce sensazione di galleggiamento.
Lì dentro filtra la luce, ma anche le luci più intensi, quelli alogene, arrivano attenuati, smorzate…, È un ambiente protetto.
Arrivano le voci ma anche le voci più forti, le grida, arrivano addolcite, silenziate… è un ambiente protetto.
Tuttavia, dopo circa nove mesi, quel bel mondo di pace improvvisamente cambia: tu, bimbo che sta per nascere, non capisci, senti solo che ti spingono verso un cunicolo stretto e nero, ti comprimono il cranio e a fatica ti scaraventano fuori, in un bagliore di luce.
Ancora non ti rendi conto, ancora non hai mai fatto male a nessuno, che già ti prendono sberle, poi ti tagliano la tua liana, il tuo cordone ombelicale, e quindi ti mettono sotto un rubinetto d’acqua, magari pure fredda!
Caro il mio bimbo, avresti tutto il diritto di pensare che, se il buongiorno si vede dal mattino, si comincia proprio male…
Ma dopo questo inizio della vita, a dir poco traumatico, di solito l’infermiera ti prende in braccio e ti porta da tua madre, la quale, pur stremata dalla fatica, trova ancora la forza di abbracciarti, di tenerti attaccato a se; e in quell’abbraccio materno ritrovi quella sensazione intensa di calore, il contatto umano, che avevi perso per alcuni istanti. Quello è stato il primo “stroke” positivo, la prima carezza della tua vita.
Da quel giorno come tutti ne hai avuto bisogno.”
A tutti dovremmo cercare di dare queste “carezze” positive.
Gli esseri umani hanno bisogno di una cosa tanto semplice quanto fondamentale: l’attenzione, e la cosa più deplorevole e dannosa che possiamo fare è dare loro, invece, l’indifferenza.
Il percepire l’indifferenza degli altri è la causa di mali e patologie e anche la causa di abbandoni, di perdite.
Bisognerebbe impegnarsi, soprattutto con i nostri cari, e con i nostri collaboratori a elargire quotidianamente dosi di attenzione, in modo da rendere la vita più gratificante.
Io nel mio piccolo cerco di ricordarmelo sempre e appena posso ringrazio miei cari per tutto quello che fanno per me, ringrazio e gratifico i miei amici e collaboratori per le loro attenzioni e aiuti e ogni tanto cerco di gratificare anche gli sconosciuti.
Ultimamente ho preso l’abitudine di gratificare i camerieri dei ristoranti dove vado a mangiare. Spesso per lavoro, pranzo o ceno fuori casa e sono consapevole che il lavoro della ristorazione può essere a volte alienante: avere a che fare spesso con clienti che vanno sempre di fretta, che li considerano come fossero un oggetto loro disposizione:
“ Mi porta un caffè!”
“È pronta la mia pizza!“
“Questo vino sa di tappo!“
“Mi fai il conto!“
questo comportamento mi fa veramente imbestialire, soprattutto se rivolto camerieri che diciamocela tutta, come tutto il personale in cucina, si fanno un bel culo dalla mattina alla sera.
A volte anche loro sono un po’ frettolosi, scorbutici e ombrosi. Forse mi sono detto, è una conseguenza e della loro attività così poco gratificante. Allora ho deciso di provare a cambiare approccio e verificare se qualcosa succedeva in queste persone.
Appena seduto al tavolo quando il cameriere si presenta con il menù per prima cosa di chiedo cortesemente il suo nome di battesimo e mi presento con il mio.
Normalmente a questa richiesta sono tutti impreparati e in modo un po’ imbarazzato ti dicono il loro nome e fanno uno strano sorrisetto.
Da quel momento in poi ogni volta che ho bisogno di lui lo chiamo gentilmente col suo nome di battesimo, e se posso mi faccio dare due consigli sul menu, sulle pietanze del giorno perché no su quale vino abbinare.
Questo semplice stroke, che equivale a dire “io so che ci sei” e soprattutto sei una persona esattamente come me, unito al sentirsi chiamare con il nome di battesimo creano una magica alchimia, che fa si che il rapporto diventi magicamente più coinvolgente.
Fa si che il cameriere si dedichi a me con una passione ritrovata, quella passione sopita, che probabilmente lo ha spinto a scegliere questa professione, che normalmente mi consigli e mi guidi verso un’esperienza culiaria diversa dal solito.
Ti posso garantire che se alla fine del pranzo/cena, lasci una piccola mancia al cameriere, specificando che è una piccola gratificazione per come ti ha fatto sentire bene e per la sua professionalità, non ti dimenticherà con facilità; e la prossima volta ti accoglierà con un grande sorriso, non tanto per la mancia, ma perché lo avete fatto sentire importante e vivo. (Molto probabilmente andrà a casa e racconterà in famiglia che oggi a pranzo ha servito uno sciroccato che lo ha chiamato per nome tutto il tempo, ma lo farà con un sorriso strano….)
Quindi concludendo,Daniele non lesinare strokes ,specie a tuoi cari ma anche sul lavoro, dove ci sono persone che lavorano dietro le quinte, quelle che si vedono meno.
Sicuramente tra di loro c’è ne sono alcune che stanno aspettando, da tempo, una cosa semplice e fondamentale: l’attenzione.
E se lo meritano, l’apprezzamento sincero, devi sforzarti di dirlo. Lo so che a volte può risultare difficile, ma ricorda:
“Apprezzare qualcuno senza dirglielo, è come incartare un regalo senza donarlo.”