Quanto sei impaziente?
Quanto riesci a resistere a una tentazione?
Quanto sei in grado di differire la gratificazione?
Insomma quanto autocontrollo pensi di avere?
La domanda a volte ci lascia con grandi dubbi, e ci fa riflettere sui nostri comportamenti.
Chiaramente l’autocontrollo varia in base al contesto, ma a me interessa valutarlo nello specifico lavorativo.
Mi spiego meglio: molte volte nelle mie esperienze da venditore, alla fine della trattativa se intravedevo la possibilità di chiusura, (come sarebbe corretto sempre fare), “spingevo” in modo determinato verso la chiusura immediata.
A volte mi andava bene, altre volte mi andava male, anzi malissimo e la prendevo sul personale, inconsciamente cambiando registro relazionale nei confronti del cliente e arrivando a liquidarlo in modo sbrigativo, di fatto chiudendo le porte per un successivo incontro.
Inoltre succedeva spessissimo che a forzatura effettuata e contratto nel cassetto, il cliente tornato a casa, si rendesse conto di essere in qualche modo ” manipolato” e rinunciasse al contratto chiedendomi la restituzione della caparra.
Ecco: questo è un cliente perso per SEMPRE!
Se ai miei tempi, anche complice la mancanza sistemica di informazioni di allora e che invece abbiamo oggi, ogni tanto mio andava bene, nel 2019 questa tecnica e impazienza è assolutamente deleteria per i tuoi risultati a breve e lungo termine.
Il processo di vendita deve chiudersi con un WIN-WIN, e se per far questo il cliente ha bisogno di tempo… pazienza.
La strategia giusta è quella di accompagnarlo al prossimo incontro, colmando il tempo con telefonate atte a dare ulteriori informazioni di supporto e a scandagliare le volontà del cliente, insomma fargli ” sentire” che noi ci siamo e che ci farebbe molto piacere averlo fra i nostri clienti.
Questa nostra attitudine all’autocontrollo, parte integrante della personalità, pare si formi nella tenera età, e comunque può essere allenata.
La conferma che fa parte della nostra personalità già dai primi anni di vita è arrivata dal famoso test del marshmellow.
In breve, verso la fine degli anni ’60, all’Università di Stanford, lo psicologo Walter Mischel ha inventato il test del marshmallow, chiamato anche test della gratificazione differita, che valuta la capacità di resistere a una tentazione per riceverne una più grande in un secondo momento.
Il test è molto semplice, si mette un bambino tra i 3 e i 6 anni in una stanza, gli si da un biscotto o il famoso marshmellow.
Poi l’operatore con la scusa di una telefonata urgente, lo lascia per 15 minuti da solo e gli dice che se resiste fino al suo ritorno senza mangiarlo, ne riceverà un secondo.
Per superare il test i bambini adottano strategie differenti, ma non tutti riescono a resistere. .
Questi stessi bambini, rivisti dopo 10 anni e dopo 40 anni, confermavano con assoluta certezza che, chi al test aveva resistito alla tentazione, nella vita se la cavava meglio e occupava posizioni di rilievo rispetto a chi aveva ceduto.
Chiaramente l’educazione ricevuta e la parte del mondo di provenienza del bambino avevano una grande influenza sull’esito del test.
L’autocontrollo però si può allenare con opportune tecniche e la più famosa citata anche nell’articolo è quella del se-allora. cito testualmente:
“Imporsi di non esagerare con i dolci è generico, lo è meno formulare qualcosa come “se mi verrà voglia di un altro pezzo di torta, allora mangerò un frutto”.
Lascio a voi come declinarla nell’ambito lavorativo di vostra competenza.
Un’altra cosa molto interessante, secondo Mischel, è che il risultato del test è correlato a quale parte del cervello si prende carico del test: se è il cervello limbico,sede delle emozioni, mangerai subito il dolcetto, se invece è la neo corteccia, più calcolatrice e fredda , attenderai il ritorno dell’operatore per avere la doppia gratificazione.
Interessante vero:
se vuoi approfondire ti consiglio di cliccare sul link per leggere un ‘articolo in merito illuminante—>Test del marshmallow, chi sa resistere?