Questa è la storia di Paolo, ma potrebbe essere anche la storia di Gaia oppure di Franco o perché no, anche di Giovanni.
Una storia che parla di persone, esseri umani, ma anche di volatili ed in particolare di Piccioni.
Tutto nasce in una mia visita in una concessionaria, dove incontro un venditore con cui ho una certa confidenza e parlando del più del meno, noto una luce particolare dei suoi occhi e non solo, anche un’insolita forma smagliante, inusuale per lui, un pò lontano dall’attività fisica da troppo tempo e da un’alimentazione morigerata e salutare.
Chiaramente incuriosito, gli chiedo che cosa è cambiato nella sua vita e che attività ha messo in atto per ritornare così in forma.
Le “nuove abitudini” mi dice, partono da un controllo più serrato dell’alimentazione, con l’assunzione a pasto di molte più verdure, una diminuzione delle porzioni in generale e in particolare dei carboidrati, una più attenta pianificazione e frequenza delle attività sportive ma soprattutto, e questa è la cosa che più mi ha colpito, una volontaria e determinata opera di disintossicazione da questa intrigante scatoletta chiamata Smartphone, che letteralmente invade le nostre vite.
Affascinante non trovi?
Ho provato a documentarmi e alcune scoperte fatte mi hanno lasciato perplesso, ma vediamo se riesco a trasferirti i concetti di base che mi sono piaciuti e che nello spirito di condivisione degli spunti vorrei passarti.
La crescente necessità di bloccare ogni tanto le attività ludiche sullo smartphone e con questo riappropriarsi del ” tempo vero” da vivere con noi stessi, i nostri cari e le nostre amicizie ” reali” e non virtuali, è una necessità che sempre più spesso il genere umano comincia ad avere.
Io in prima persona, cerco sempre di creare delle giornate di “DIGITAL DETOX” magari facilitato dalle vacanze, con risultati sempre molto positivi.
Del resto oggi, la potenza di questi device è tale, che possono essere un grande supporto per tutte le attività lavorative, solo che “Visto che devo scaricare le mail”, per cui un’attività tutto sommato normale oggigiorno, non vuoi dare un’occhiata al post del tuo amico appena pubblicato e notificato?
Questo è un piccolo gesto, apparentemente innocente, che porta a passare molto tempo in zone dello smartphone che ci rubano tempo e focalizzazione.
Basta andare a verificare le app presenti sul tuo smartphone tipo “Tempo di Utilizzo” di i-Phone per renderti subito conto del tempo speso e spessosprecato.
Inoltre i giganti della tecnologia in questi ultimi anni sono stati molto bravi a creare applicazioni e funzionalità che rendono i nostri smartphone assolutamente irresistibili e noi dipendenti da questi picchi di dopamina, un neurotrasmettitore conosciuto come l’ormone dell’euforia, (In quanto la sua presenza è legata alla sfera del piacere e al meccanismo della ricompensa) e inconsapevolmente dipendenti dai like, cuoricini ecc…
A tal proposito, invito a leggere questa definizione e dirmi se non la trovi maledettamente appropriata:
“Social media e Smartphone sono le sigarette del 21° secolo”
Ma torniamo al tempo di utilizzo, non so se hai mai sentito parlare del termine “Time spent on platform”?
In sostanza si tratta di una metrica importantissima denominata “tempo speso sulla piattaforma” che serve a misurare l’andamento economico di queste grandi aziende.
Nel libro di Andrea Giuliodori ” Riconquista il tuo tempo”, l’autore riporta che, in una delle ultime riunioni di aggiornamento agli investitori di Facebook, nonostante il fatturato globale impressionante, il calo di soli due minuti del tempo speso dagli utenti sulla piattaforma, ha comportato per l’azienda di Zuckenberg una perdita di capitalizzazione di 34 miliardi di dollari in pochi giorni.
Quindi ogni minuto in più che noi trascorriamo su Facebook vale 17 miliardi di dollari per l’azienda, in pratica il valore di una manovra economica del nostro bel Paese.
Questo perché, più tempo passiamo sulla piattaforma, più loro riescono a prendere informazioni e allargare il database del nostro profilo e di conseguenza proporci molteplici inserzioni pubblicitarie mirate.
Del resto come dicono anche nell’azienda Americana per cui lavoro: “I dati sono il petrolio del futuro”
Questo dovrebbe servirti a capire quanto le aziende tecnologiche siano focalizzate a sfruttare qualsiasi punto debole della psiche umana, per creare dipendenza dei confronti di questi servizi e farti trascorrere quanto più tempo possibile sulle loro creature.
A questo punto presumo che tu ti stia chiedendo:
Daniele, ma i Piccioni cosa c’entrano con Facebook, Instagram e soci?
I Piccioni c’entrano eccome, perché proprio dello studio approfondito dei piccioni che possiamo capire quelle che sono le dinamiche che ci costringono in questo tipo di sottile dipendenza, dipendenza dai like di cui accennavo prima.
Ti riporto l’esperimento, così come descritto nel libro di Andrea Giuliodori.
L’esperimento dello psicologo Michael Zeiler condotto nel 1970 era molto semplice.
Aveva messo un certo numero di volatili in una grande gabbia con un pulsante ben visibile al centro.
Ogni volta che piccioni premevano quel pulsante con il becco venivano premiati con del cibo.
Dopo un certo periodo Zeiler aveva introdotto una variante al processo e notato un’interessantissima variazione nel comportamento dei volatili.
Premiando i piccioni ogni volta che premevano il pulsante, questi ultimi agivano per ottenere il cibo con una certa regolarità, ma a intervalli di tempo piuttosto lunghi.
Al contrario, se il premio in cibo arrivava solo tra il 50 e il 70% delle volte in cui il pulsante veniva premuto, i piccioni iniziamo a battere il becco sul pulsante con maggiore frequenza e insistenza.
In pratica rendendo il premio imprevedibile lo psicologo è riuscito ad aumentare la dopamina generata dal cervello dei piccioni ad ogni tentativo riuscito, che è esattamente quello che accade nel cervello dei giocatori azzardo quando hanno una mano vincente.
Questo sistema di premi aleatori che è in grado di generare una forte dipendenza è uno dei pilastri fondanti dei social media.
Pensa per esempio al pulsante “mi piace” introdotto da Facebook nel 2008 e poi diffuso a macchia d’olio in tutti gli altri social.
Questa funzione serve in teoria a dare dei feedback immediati ai nostri amici su ciò che pubblicano, giusto?
Il punto è che ogni volta che pubblichiamo nuovo post, non sappiamo quanto successo avrà: il premio è imprevedibile.
Ogni post è una scommessa ad alto rischio. Un numero elevato di interazioni positive genera in noi un rilascio di dopamina. Al contrario se dovessimo ricevere pochi “mi piace“ (o cuoricini) potremmo pensare che nostri contatti non siano poi così interessati a noi, o peggio ancora che noi non siamo poi così interessanti.
Non c’è dunque da sorprendersi che i social media credo così tanto di tendenza. Ci stanno trattando come dei piccioni gabbia.
Tornando al nostro Paolo, lui ha deciso in maniera sistematica di porre fine a questa dipendenza per cui quando arriva a casa dopo il lavoro, a una certa ora diciamo alle nove di sera, chiude completamente tutto quello che riguarda tecnologia, partendo dallo smartphone, arrivando al computer e lascia tutto quanto in stand-by fino alla mattina successiva.
A suo dire questa nuova abitudine gli sta regalando dei momenti di piacevole serenità e di tranquillità. Si sta riappropriando dei propri spazi, ha ripreso a leggere con assiduità e alla fine si sente più carico per affrontare la giornata successiva ed essere costante nel praticare le nuove e positive abitudini.
Concludendo, recuperando un pò di questo tempo sprecato, che non ci fa rilassare, ma al contrario può accuire stress, disturbi del sonno e ansie varie, possiamo ritrovare alcuni piaceri della vita e tornare “Splendidi e Splendenti” come il nostro Paolo, e magari al prossimo incontro farci due risate e brindare fra amici con un buon calice di rosso, che non fa mai male!
Complimenti Paolo.
Sempre nel libro di Giuliodori sono spiegati alcuni trucchi per potersi difendersi dalla dipendenza digitale, una decina in tutto.